Questo testo riprende l’intervento di Roland Lafitte al “Simposio dei planetari 2014”, tenuto a Lucerna, dal 1 al 5 maggio 2014.
Vasco da Gama lasciava Lisbona l’8 luglio 1497 come capitano-maggiore di una squadra di quattro navi. Doppiava il Capo di Buona Speranza nella notte dal 22 al 23 Novembre 1497 e, dopo 309 giorni di viaggio, raggiunse Calicut, oggi come in origine Kozhikode (una città dello Stato federale indiano del Kerala), il 20 maggio 1498.
Attraversando l’Oceano Indiano con lui, gli Europei hanno beneficiato delle conoscenze astronomiche dei navigatori arabi. Lo scopo di questo articolo è di vedere ciò che hanno appreso con loro del cielo australe.
Gli Europei che allora attraversavano l’equatore hanno fatto un’esperienza simile. Tutti poterono ammirare, secondo le parole di una lettera a Giuliano de’ Medici scritta nel 1516 dal viaggiatore Andrea Corsali, oggetti celesti a loro perfettamente sconosciuti : «due nugolete di ragionevole grandeza [così è scritto nella lettera]», e «una meravigliosa Croce». Ben presto, accostandosi al sud dell’attuale Mozambico, la squadra portoghese incontrava popolazioni che avevano stabilito relazioni con commercianti arabi, che erano da più di cinque secoli attivi nella regione.
Il contatto di Vasco da Gama con la navigazione araba.
Vasco da Gama aveva imbarcato alcuni Arabi, o almeno persone che avevano familiarità con la lingua araba, e riuscì a ottenere rapidamente informazioni sugli insediamenti arabi. In realtà, il primo porto in cui approdò fu Mombasa, dove l’accoglienza ricevuta non lo incoraggiò a restare. E così raggiunse Malindi dove fu ben accolto e il Sultano gli offrì un pilota che potesse fargli attraversare l’oceano per arrivare in India. Navigando da lunghi secoli dall'estremità settentrionale del Mar Rosso e dal Golfo Persico al sud del Madagascar in latitudine, e dalla costa orientale dell’Africa alla Cina in longitudine, i navigatori arabi vantavano una ricca esperienza marittima e si rivelavano come guide di rotte in grado di fornire tutte le informazioni necessarie per navigare da un porto a un altro, così come si poteva evincere dai trattati di navigazione.
Alla fine del quattrocento, uno dei maestri di questa disciplina è stato Ahmad Ibn Mâjid, in cui gli Europei hanno voluto rivedere il pilota che guidò Vasco da Gama da Malindi a Calicut. In realtà l’uomo era già troppo vecchio per navigare, e soprattutto era più di un semplice pilota. Anche le sue opere - che superano la cinquantina - redatte sia in versi sia in prosa, forniscono preziose informazioni sul sapere dell’epoca.
Per inciso, questo illustre navigatore fornisce, in uno dei suoi poemi sulla nautica, un importante monito ai marinai, conosciuti per la lora audacia qualora il loro intento fosse stato quello di imbarcarsi a Sofala e di procedere verso nord (Kilwa e Zanzibar) il viaggio non poteva assolutamente compiersi prima del 2 maggio, a causa del monsone invernale. Difatti, in questa stagione, le correnti contrarie, le tempeste e i 4 cicloni che spazzano il Canale di Mozambico, rendono il mare davvero pericoloso. Questo ci permette, in un certo senso, di misurare la fortuna di Vasco da Gama e dei suoi compagni, che hanno attraversato la zona nel momento più rischioso e che tuttavia ne sono usciti sani e salvi.
Tuttavia, la rotta da Malindi a Calicut beneficia, a partire da aprile, di condizioni favorevoli a causa del monsone estivo che soffia dal sud-ovest, mentre la corrente di Somalia, che scorre nella stessa direzione, riesce ad accelerare la marcia.
I marinai portoghesi furono molto sorpresi nel constatare che i piloti arabi non avessero carte nautiche e che non utilizzassero la bussola. Nonostante questi strumenti fossero conosciuti non appartenevano alla loro pratica comune. Supplivano a questo, utilizzavano guide di rotta specifiche, spesso orali, dando, per ogni direzione da prendere sul compasso siderale, una conoscenza precisa delle stelle per determinare la latitudine e le ore della notte, indicazioni che si aggiungevano a precisi punti di riferimento terrestri preziosi come la presenza di animali e di uccelli marini, ecc.
La navigazione da Malindi a Calicut con un pilota arabo.
Se prendiamo le informazioni fornite dalle guide di rotta arabe, il viaggio da Malindi a Calicut avrebbe potuto effettuarsi in due fasi:
Fase 1. Lasciando il porto, la nave si sarebbe diretta verso Nordest.
Si basa sul compasso siderale che gli arabi chiamano, da’irat al-akhnân, letteralmente "il cerchio di rami", o al-dâ’ira al-afaqiyya "circolo di orizzonti". Questo è un quadrante di legno che divide l’orizzonte in 32 settori, ciascuno mostrando una direzione grazie al levarsi e alla scomparsa di 15 stelle determinanti che alcuni hanno potuto qualificare con il termine azimutale, e a cui deve essere aggiunta al-Jâh, "la più alta", o α Umi (Polaris o stella Polare).
Per quanto riguarda il polo sud, non sembra essere stato rilevato da una stella, ma dal passaggio meridiano di alcune stelle o asterismi luminosi del Sud, prima Suhayl, o α Car (Canopus o Canopo, la seconda stella più brillante del cielo notturno), che rende possibile chiamare questa posizione Qutb Suhayl, "il Polo di Suhayl." Abbiamo quindi 32 posizioni. Il quadrante siderale arabo ha una somiglianza impressionante con la bussola.
Partendo dal porto africano, il pilota di Vasco da Gama ha probabilmente fatto rotta sulla levata eliaca della stella al- ᶜAyyûq o α Aur (Capella), che indica il nord-est sul quadrante siderale [La levata eliaca di una stella indica il fenomeno del sorgere dell'astro esattamente all'alba, o, per dirlo in modo alternativo, la prima apparizione dell'astro, subito prima del sorgere del Sole, dopo un periodo di tempo durante il quale la stella non era stata visibile, trovandosi al di sopra dell'orizzonte soltanto nelle ore diurne].
In questo periodo dell’anno, questa stella non è visibile la sera sull'orizzonte orientale. Ma il pilota sa che la sua posizione corrisponde a un certo punto localizzato tra al-Qa’id, che chiamiamo come gli Arabi, cioè Elkaid, e un terzo della distanza che separa questa stella d’al-Simâk al-Râmih, cioè α Boo che era per i chierici latini Azimech Alrameh e che oggi è stata denonominato con l’appellativo Arcturus.
La nave mantenne quella direzione fino a raggiungere la latitudine di Calicut.
La domanda è: come si calcola la latitudine?
Si misura nel modo più semplice, tenendo il braccio disteso, con il palmo parallelo all'orizzonte, e contando il numero delle dita ‒ arabo: asâbiᶜ ‒ con cui una stella si alza sopra la linea d’orizzonte. La sostituzione della mano da una mensola dotata di una cordicella graduata chiamata kamâl in grado di misurare gli altitudini con maggiori dettagli dando dei 1/3 e 1/4 di dita, sapendo che il dito ‒ isbac ‒ viene valutato, nei trattati arabi, 1 ° 36 ', cioè 1.607 gradi (ci sono, secondo Ibn Mâjid sul meridiano 224°).
Secondo i trattati di Ibn Majid, i piloti hanno, anche se non è stato formalizzato, una vera e propria tabella che mostra la gamma delle latitudini in cui si utilizzano le stelle: per l’Oceano Indiano settentrionale, al-Juday, o α UMi (Polaris); a latitudini equatoriali al-Farqadayn, o βγ UMi (i Guardiani del Polo); alle latitudini più meridionali al-Naᶜsh o εζ UMa (Alioth e Mizar).
Fase 2. Il pilota ha preso la rotta Est mantenendo con il kamâl l’altitudine d’al-Juday o α UMi (Polaris), a quella di Calicut, 6 dita.
Quando si avvicina alla riva, gli basta identificare uno speciale punto di riferimento localizzato al nord-est della città, la montagna chiamata dagli Arabi Jabal Maqdar, e che oggi lo identifichiamo come picco Vellari Mala, che somiglia alla gobba di un cammello.
Nota: I marinai arabi usavano come misura di lunghezza il zâm, che corrisponde a 1/8 dita. Se lo convertiamo in tempi di navigazione possiamo rilevare che corrisponde a tre ore che sul meridiano equivalgono a 360° = 224 dita, o 224 x 8 = 1792 zâm, fornendo una velocità di 4 nodi.
Se secondo i trattati arabi, la durata stimata per andare da Malindi a Calicut è di 27 giorni, constatiamo che il viaggio è durato in realtà 35 giorni. Tuttavia date le numerose alee marittime, riteniamo che non si sia trattato di uno scarto serio. Il viaggio è andato bene.
Il cielo australe tradizionale per gli Arabi.
Vasco da Gama imbarcò chierici che distinguevano per essere conoscitori di lingue, della storia dei popoli, della geografia e dell’astronomia. Ci sono probabilità che uno di loro abbia letto l’Almagesto nella versione latina che Gerardo da Cremona aveva fatto della sua traduzione araba. Immaginiamo che, nel corso della traversata, quest’uomo erudito chiede al pilota arabo, aiutato dal traduttore “moro” del capitano-maggiore, quali siano le stelle che utilizza per riconoscersi nel cielo australe. Egli risponde descrivendo al nostro viaggiatore, avido di sapere, il cielo che aveva già visto quando la squadra di Vasco da Gama doppiò il Capo di Buona Speranza, sebbene l’orizzonte fosse un po’ più in rilievo in rapporto alla latitudine.
Le indicazioni del pilota e le spiegazioni del traduttore permisero al nostro “uomo erudito” di identificare delle stelle presenti nel Almagesto, ma invisibili alla latitudine di Lisbona:
* la stella brillante della Nave Argo -oggi α Car-, che i Greci chiamavano Kanôpos ed i Latini Canopo, e che è Suhayl tra gli Arabi.
E altre stelle che non furono nominate per i Greci, lo erano dagli Arabi:
* così quella dell’estremità Eridano (α Eri), che il pilota chiama al-Salbâr, visibile all'inizio della notte;
* anche la figura nominata al-Qaws wa-l-Sahm, letteralmente “L’arco e la Freccia”, visibile nelle prime ore della mattina, due oggetti tracciati da gruppi di stelle considerate nel Almagesto come esterni alla figura del Pesce australe (oggi rispettivamente β Tuc + βγδμλγ Gru per l’arco e αβ Gru + α Phe per la freccia).
Si rivela anche una bella sorpresa: la famosa "Croce meravigliosa" ammirata dai marinai dopo aver attraversato l’equatore, e che l’Almagesto non distingue come uno speciale oggetto celeste nella costellazione del Centauro, è anche vista come una croce per gli Arabi (αβγδ Cen).
Il pilota gli mostra precisamente due croci. L’una è Salîb al-Qutb, "la Croce del Polo". Questa è quella che abbiamo appena evocato. Il pilota la qualifica con il termine janubî, cioè "australe", per distinguerla da un’altra croce detta shamâlî, "boreale", che nomina al-ᶜAwâ’idh, “le Madri Cammelle”, ed è posta nella testa del Drago (βγεν Dra). E consiglia vivamente di non confonderla con un’altra croce che si può vedere nel cielo australe e che si chiama, per questo motivo, al-Salîb al-Kâdhib "la Falsa Croce".
Per quanto riguarda le due piccole nubi ignorate dall’Almagesto (GNM e PNM), il pilota le descrive come shâbatân baydha ', cioè "due nuvole bianche". Il primo, al-Kabîr, “il Grande”, e chiamato anche Qaddamâ Suhayl "i piedi di Suhayl”. L’altro, è “il Piccolo”, in arabo al-Saghîr.
È chiaro che il nome Nubi di Magellano, che è stato dato a questi oggetti celesti fino al XIX secolo, aiuta a cancellare il contributo della nautica e dell’astronomia araba al patrimonio delle arti e delle scienze marittime del Rinascimento europeo.