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Storia di Malindi

History of Malindi (English)

Malindi. Litorale.
Malindi. Litorale.
Galana Centre Malindi
Galana Centre Malindi

Malindi, che si trova circa 120 km a nord est di Mombasa, è una delle città turistiche più famose lungo la costa nella Malindi Bay e, dopo Mombasa, la seconda città più grande sulla costa dell'Oceano Indiano del Kenya.
Antica città costiera fondata intorno al I° secolo dC è sorta originariamente come insediamento arabo e posto di scambio, probabilmente a Mambrui, a nord del fiume Sabaki.
Sebbene nota col nome portoghese di Melinde, alcuni sostengono l'origine del nome swahili di Mali Ndi che significa "sacco di ricchezza".
La popolazione era di 208.000 abitanti nel 2009 ed è situata nella Contea di Kilifi che, sempre nel 2009, contava una popolazione di 1,11 milioni abitanti.

 

Gli Arabi fondarono l'attuale Malindi agli inizi del XIII secolo. Nel 1414 il re di Malindi avviò relazioni diplomatiche con la Cina durante i viaggi dell'esploratore Zheng He.

 

Il 15 aprile 1498 (l'anno 918 del calendario arabo) lo sceicco di Malindi al-Bauri, in guerra con Mombasa, accolse con favore il grande esploratore portoghese Vasco da Gama. Costui ancorò tre navi, San Gabriel, San Rafael e Berriro, nel porto di Malindi. Si narra che Vasco da Gama non lasciò mai la San Gabriel, una tre alberi di circa 300 tonnellate con vele quadrate e grandi croci rosse.
L'anno seguente le porte dell'Africa orientale si aprirono ufficialmente verso l'Europa così i portoghesi vi istituirono un posto di scambio. In quel momento, la città era un regno ricco. Gli abitanti si mescolarono con gli arabi che erano la classe dirigente e la città fu cinta da mura. Gli arabi vivevano dentro le mura in case in pietra, mentre gli africani vivevano soprattutto in capanne di fango e graticcio di canne con tetti in paglia di palma.
L'economia consisteva nell'agricoltura e nel commercio con i vari porti nell'Oceano Indiano. Vicino a Malindi c'erano grandi piantagioni di frutta (limoni, arance), palme da cocco, canna da zucchero, ortaggi e bestiame. Schiavi ed avorio venivano esportati. La città era un importante porto in Africa orientale.
All'inizio del XVI secolo i portoghesi scelsero Malindi come stazione di rifornimento per le navi portoghesi, quindi, costruirono qui la propria amministrazione, stazioni di rifornimento e case per i loro funzionari. Nel 1518 il Mozambico ha assunto il ruolo di Malindi come stazione di rifornimento per le navi portoghesi perché i portoghesi avevano problemi a difendere Malindi.
Con la costruzione del portoghese Fort Jesus nella vicina città di Mombasa (1593) Malindi iniziò il suo declino. L'amministrazione portoghese e le dogane furono trasferite a Mombasa non lasciando amministrazioni a Malindi.
Dopo il 1666 i portoghesi hanno perso il controllo completo della città.


Il sultano di Zanzibar Majir rifondò Malindi nel 1861 e la ricchezza della città aumentò tra il 1861 e il 1890. Governatori arabi nominati dal sultano di Zanzibar. e supportati da una guarnigione tra i trenta e i centocinquanta soldati Baluchi, amministrarono la città. Dopo il 1873 il commercio degli schiavi, diventato illegale, portò ad un declino l'economia agricola, così gli arabi furono in parte disposti ad assumere gli africani locali su base salariale. Il sultano di Zanzibar successivamente affittò i suoi territori, che comprendevano la regione di Malindi, al British East Africa Association (vedi Consiglio Repubblicano di Mombasa).


Nel 1906, il nuovo gruppo di europei cominciò a piantare ed esportare grandi quantità di gomma dalle loro piantagioni, ma questo finì nel 1917 quando i prezzi della gomma registrarono un netto calo a causa della sovrapproduzione in Malesia. Dal 1925 al 1938, ci fu la siccità seguita da inondazioni che portarono ad un calo della produzione agricola. Tuttavia, ci fu un grande aumento della produzione di cotone fino al 1935, quando il prezzo del cotone diminuì drasticamente.
Durante la seconda guerra mondiale non vi fu molto sviluppo economico nella zona di Malindi. Alla fine del 1944 il ritorno dei turisti provenienti dall'entroterra e il ritiro dell'esercito, fecero in modo che Malindi, ancora una volta, tornasse alla normalità.


Nel 1960 il turismo di massa, con voli charter che atterravano a Mombasa, permisero a Malindi di tornare sulla mappa del mondo. Oggi Malindi è nel bel mezzo di un boom turistico dovuto principalmente alle sue spiagge.
La città è servita da un aeroporto nazionale e da una strada tra Mombasa e Lamu. I resort di Watamu e le rovine di Gedi (i resti di una città Swahili situata in un villaggio vicino a Malindi) si trovano a sud di Malindi. Nel 1948, i resti di Gedi sono stati dichiarati Parco Nazionale del Kenya. La foce del fiume Sabaki si trova nel nord di Malindi. I parchi marini nazionali di Watamu e Malindi formano una continua zona costiera protetta a sud di Malindi. L'area mostra classici esempi di architettura Swahili.

Mappa di Malindi
Mappa di Malindi

 MALINDI

Questa città apparentemente tranquilla non ha avuto per niente un passato monotono infatti con sconcertante alternanza è stata scenario di drammi e fortune degne delle più avvincenti saghe letterarie. Le sue origini sono abbastanza incerte anche se è probabile che risalgano al IX secolo.
È comunque confermato da ritrovamenti di porcellana che fu abitata dagli arabi nel tredicesimo secolo.
Più tardi nella prima metà del quindicesimo secolo vi approdarono i cinesi e nel 1492 fu la volta del navigatore portoghese Vasco da Gama al quale dopo l'ostile accoglienza ricevuta a Mombasa, Malindi parve un'oasi di pace e tranquillità.
A quel tempo Malindi era una città cinta da mura di pietra corallina che vantava una popolazione di seimila abitanti e per quasi tutto il sedicesimo secolo i traffici mercantili con i portoghesi, gli arabi e gli indiani la resero una delle città più ricche e fiorenti della costa.


Nel 1595-1598 entrano in scena dei mercenari turchi guidati dalla terribile figura del pirata Emir 'Ali Bey (Mirale Bey) che si impadronì dei possedimenti portoghesi di Faza, Pate e Mombasa. Malindi venne anch'essa assediata, ma scampò al saccheggio grazie all'astuzia di un capitano portoghese, Mendes de Vasconcellos, che durante la notte fece installare due cannoni su un isolotto di sabbia al largo della città assediata. La flotta turca, credendo di essere bombardata da un vero esercito, si ritirò. Il peggio sembrava passato ma era solo un'illusione. Ben presto giunsero da sud della costa gli echi delle imprese degli Zimba o Wazimba, una tribù di cannibali che era stata capace di mettere Mombasa a ferro e fuoco. In un battibaleno piombarono su Malindi e fu solo grazie alle forze unite di Portoghesi e tribù locali che i terribili Zimba vennero sconfitti e ricacciati indietro.


Nel 1539 i Portoghesi spostarono le loro basi a Mombasa, dotata di un porto con acque più profonde e più facile da difendere, dando inizio alla costruzione di Fort Jesus: da allora incominciò il lento e inarrestabile declino di Malindi.
La città andò sempre più a perdere consistenza, nel 1634 era già un terzo di come era stata in origine. Ventotto anni più tardi fu invasa dagli arabi Omani allettati dalla sua posizione strategicamente perfetta per il controllo della costa.
Circa duecento anni dopo, il missionario Ludwing Krapf diede uno scoraggiante resoconto: Malindi era diventata una città semi abbandonata e inghiottita dalla vegetazione. Nonostante il suo declino commerciale Malindi era ancora molto ricca in prodotti agricoli tanto che nel 1861 il sultano di Zanzibar diede ordine di ricostruirla e vi mandò un rappresentante dell'Imperial British East Africa Company a controllare le sue proprietà.


Verso l'inizio del secolo si tentò, nell'area intorno a Malindi, la coltivazione estensiva dell'albero della gomma ma a causa del crollo dei prezzi di mercato dovuto alla crescente concorrenza di altri paesi produttori, questo progetto venne ben presto abbandonato. Solo negli anni 30 arrivarono i primi residenti Europei, tra questi Mr. Pat Brady che acquistò nel 1932 una vecchia casa, originariamente costruita prima del 1914 da un europeo proprietario di una piantagione di gomma, trasformandola nel primo hotel di Malindi, il Palm Beach Hotel, l'odierno Blue Marlin, e il comandante Lawford che costruì l'omonimo albergo.
Durante la guerra, nel 1940, Malindi venne bombardata da due biplani Italiani, ma fortunatamente solo una minima parte di bombe esplose. Terminata la seconda guerra mondiale, Malindi cominciò a diventare un luogo di villeggiatura per i country farmers del nord e più tardi nel 1960 esplose definitivamente come località balneare.


Oggi Malindi vive un momento di espansione economica e turistica. Pur mantenendo immutato il suo fascino di “villaggio dei pescatori” offre innumerevoli scelte alberghiere ad alto livello ristoranti internazionali e tutti i servizi di una meta turistica famosa. La bellezza naturale della costa, le molte spiagge e baie bordate di palme, l'ideale clima tropicale e la magia dell'Oceano Indiano ne fanno il luogo ideale per una vacanza da sogno.

Video Malindi, Kenya.
Video Malindi, Kenya.
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Malindi forma un consiglio comunale con 13 quartieri: Barani, Ganda/Mkaumoto, Gede, Gede North, Gede South, Kijiwetanga, Madunguni, Malimo, Malindi Central, Malindi North, Maweni, Shella, Watamu Town. Tutti loro si trovano nel collegio di Malindi.


La città di Malindi ha 20 insediamenti informali: Umoja, Majivuni, Tototo, Shella, Mgandini, Kikombe Tele, Majengo Mapya, Mbuyu wa Kusema, Kwa Mdomo, Majengo Maskini, Maweni, Erani, Myeye Juu, Kibokoni, Kwa Chocha, Ganda, Ziwa la Furunzi, Bandani, Mtangani e Thalatha Meli.


Malindi, il mercato.
Malindi, il mercato.

 

LUOGHI DI INTERESSE STORICO:

Vasco da Gama Pillar o Cruz Padrão - Pillar Tombs - Cappella Portoghese - Casa delle Colonne - Museo di Malindi - Rovine di Gedi

 

Alla fine del 15° secolo i portoghesi sbarcarono sulle coste del Kenya: Vasco da Gama, che rimane una pietra miliare nella storia di Malindi, fu il loro precursore. Erano passati pochi anni dalla scoperta dell'America e i ricchi commercianti arabi della costa orientale dell'Africa non vedevano di buon occhio l'arrivo della concorrenza, ma mentre tutti rifiutarono ospitalità ai portoghesi lo sceicco al-Bauri di Malindi li accolse a braccia aperte, tanto che aiutò da Gama indicandogli, grazie ad un esperto navigatore (lo yemenita Ahmad ibn Majid ibn Muhammad al-Saʿdi al-Jaddi al-Najdi), la strada fino in India.


A ricordo di quella accoglienza nel 1499, al ritorno del suo viaggio in India, il navigatore portoghese fece costruire il Vasco da Gama Pillar o Cruz Padrão, un pilastro sormontato da una croce che veniva fatta erigere come riferimento per i naviganti (Padrão significa pilastro di navigazione. I Padrãos assumevano diversi significati come gli stessi viaggi in tutto il continente africano. I Padrãos non hanno solo agito come aiuti alla navigazione portoghese, ma proclamarono la terra intorno a loro come cristiana e appartenente al Regno del Portogallo). Il pilastro (Cruz Padrão) fu originariamente costruito in città fuori dal Palazzo dello sceicco sul lungomare (accanto ai vecchi tribunali nei pressi di una vecchia moschea nel quartiere di Shella), ma la sua connotazione cristiana causò malcontento tra i musulmani e fu ben presto rimosso e spostato, sotto insistenza portoghese, nella attuale posizione, nel punto più a Sud della baia di Malindi, dai monaci nel corso del XVI secolo (1512). È uno dei più vecchi monumenti europei rimasti in Africa. La croce cristiana è di originale pietra calcarea di Lisbona, mentre la sottile colonna, sempre di calcare di Lisbona, è stata sostituita con un pilastro a forma di cono in corallo locale. Nel 1873, il capitano Malcolm fece ricoprire il pilastro a cono con del cemento per sostenere la croce. Nel 1986, dei pilastri di cemento sono stati messi sotto la grande base di corallo a supporto della rottura in pezzi del corallo morto e per fermare la caduta in mare della colonna. Ma l'arrivo degli europei fu l'inizio della fine e coincise con l'avvio della tratta degli schiavi, con il saccheggio della città e con il conseguente declino di Malindi, che in quegli anni conobbe il periodo più buio della sua storia.


Le Pillar Tombs: tra città e pontile. Si tratta di due tombe a pilastro erette agli inizi del 15° secolo sulla collina vicino al mercato arabo, appena fuori le mura della città. Molti credono che questi pilastri, nel design, siano una rappresentazione fallica, ma molti arabi non sono d'accordo. Essi vengono associati con i pilastri fallici dei Galla o ai pilastri monolitici di Imerina e Betsileo del Madagascar. I monumenti si trovano ad est entro le mura della moschea di Jumaa, sede anche di un cimitero musulmano, ed è di discreto interesse architettonico. La più alta delle due tombe risale al principio del xv secolo e fu costruita per la sepoltura dello sceicco locale chiamato Abdul-Hassan. La moschea di Juma (Moschea di preghiera del venerdì) si affaccia sul mercato dei negrieri che operò fino al 1873, quando la tratta degli schiavi, ma non la schiavitù in sé, venne proibita dagli inglesi.


La Cappella Portoghese: estremità sud del porto sul lungomare nella zona di Shella sulla Mama Ngina Road nel centro storico di Malindi. Costruita dai Portoghesi nel 1498 per seppellire due marinai (le due tombe sono senza nome), è stata la prima chiesa cristiana conosciuta nell'Africa orientale sfidando l'età per rimanere un importante simbolo storico di religione e continuità.
La cappella, che misura cinque metri per cinque, ha pareti bianche fatte di rocce coralline e sabbia. C'è una "finestra" di sicurezza in una parete che sarebbe stata usata per vedere i nemici dall'oceano. La chiesa ha anche un altare con armamentario religioso cattolico, due sedie e otto panche di legno su un pavimento cementato. Può ospitare 40 persone sedute e da 50 a 60 in piedi.
Originalmente le pareti interne erano decorate con dipinti che purtroppo recentemente sono stati coperti con una mano di vernice bianca (in particolare sulla parete sud-est era dipinto un affresco che rappresentava la Crocifissione venuto alla luce nel 1933 durante i lavori di restauro della cappella stessa). È stata visitata da St. Francis Xavier (San Francesco Saverio di Spagna), uno dei fondatori dei Gesuiti nel 1542 mentre si recava in India, dove seppellì uno dei marinai deceduto sulla sua nave. Fuori dalla cappella, oggi a lui dedicata, c'era un cimitero di lapidi portoghesi, ma oggi ci sono anche molte tombe più recenti (in totale se ne contano 36) tra cui quella del pioniere di Malindi comandante Lawford del Lawford Hotel e di J. Bell Smith, il primo amministratore britannico in Malindi qui sepolto nel 1894. Questo cimitero è l'ultimo luogo di riposo di Charles Arnold Frank Mathews, sepolto nel 1968. Era il figlio del canonico Mathew, un pioniere coltivatore di tè a Kericho che annegò in mare a Malindi mentre era in vacanza.
Nonostante sia stata abbandonata tra il 1593 e il 1893, la cappella e la sua storia hanno resistito alla prova del tempo.
Ora, sotto la sovraintendenza dei Musei Nazionali del Kenya, la cappella di San Francesco Saverio è uno dei luoghi di culto più importanti del Kenya: un ricordo di secoli che sono andati e venuti, un'avanguardia della fede cristiana in Kenya.


La Casa delle Colonne. Un buon esempio di architettura tradizionale swahili, si trova nella strada del porto (Vasco da Gama Road) ed è all'interno di un'antica costruzione portoghese con le colonne dove è ospitato il Museo di Malindi. L'edificio è stato originariamente costruito nel 1891, e negli anni più recenti è servito come l'ufficio per il Kenya Wildlife Service e ora è un monumento nazionale che è stato amorevolmente restaurato dal Museo Nazionale del Kenya, grazie ai finanziamenti dell'ambasciata tedesca. La casa è disposta su tre piani con grandi stanze, scale e persiane in legno. Ospita la storia della cittadina rivisitata attraverso libri, carte nautiche e geografiche, documenti, fotografie e disegni di monumenti e case e altre informazioni e testimonianze della dominazione portoghese in particolare. Sono numerosi i reperti interessanti ed etichettati, tra cui manufatti sacri in legno intagliato del popolo Gohu (una società segreta composta da uomini del popolo Giriama, oltre a quelle conosciute col nome di Habasi e Kinyenzi), utilizzati come collegamento tra i vivi e i morti. I sacrifici erano fatti per loro, in preparazione della raccolta e della semina. Ci sono un paio di tavole su Vasco de Gama e il suo arrivo sulla costa nel 15° secolo, e una stanza di poster dedicati a 'Discover Islam' con informazioni su come gli uomini e le donne musulmane vivono la loro vita. Al piano terra emergono fotografie di Mombasa di come era prima e come appare oggi, mentre in uno dei piani superiori del Malindi Museum, è disposta la biblioteca dove è possibile visionare libri locali della regione.
Il Museo mostra anche alcune scoperte scientifiche sostenute dai numerosi navigatori. Mostra anche uno strano esemplare di Coelacanthus (Latimeria chalumnae), un pesce preistorico che si pensava fosse scomparso con i dinosauri oltre 65 milioni di anni fa, ma negli ultimi anni alcuni esemplari sono stati trovati intorno alla costa orientale e meridionale e in Indonesia. L'enorme pesce di 1,7 m è stato catturato ad una profondità di circa 185 m al largo della costa di Malindi nel 1991 e ha pinne carnose sostenute da ossa che si muovono come le braccia e le gambe. Gli scienziati ritengono che potrebbe essere un esemplare che faceva parte di una catena di creature che si sono evolute e si sono trasferite a vivere sulla terra circa 360 milioni di anni fa. È stato identificato come un celacanto femmina adulta, e incredibilmente si è scoperto che trasportava uova di dimensioni fino a 9 cm di diametro (i celacanti non depongono le uova, ma sono vivipari, ovvero le uova, senza guscio, si schiudono all'interno del corpo materno).


National Museums of Kenya: sede della Malindi Museum Society che di occupa di acquisire e ripristinare edifici storici in Malindi come musei. L'edificio è anche la sede della Malindi Cultural Complex che si occupa prevalentemente di promuovere il turismo nella regione.


Rovine di Gedi: situate a 19 km a sud di Malindi le rovine della città Swahili di Gedi sono quanto rimane di una città araba costruita nel tardo tredicesimo secolo e abbandonata in seguito ad un attacco dei Galla o per carenza d'acqua. La parte visibile della città risale quasi tutta al xv secolo e a quel tempo la sua popolazione doveva aggirarsi sulle 2500 unità. La leggenda dice che la città sia abitata da fantasmi tanto che il comandante Lawford usava offrire un week-end per due nel suo albergo a chi avesse osato passare una notte da solo a Gedi.

Guerriero Masai
Guerriero Masai

 

L'EPOPEA DEGLI ZIMBA

(Jaga o Ba-Yaka)

 

Molte leggende e tradizioni parlano di successive ondate di migrazione di popoli pastori.


Gli Hima, ad esempio, invasero verso il nostro 1300 l'attuale Uganda e sembra che siano stati i fondatori di grandi città fortificate, come Bigo e Kabengo. Queste città erano circondate da fossati difensivi, scavati a volte nella roccia viva. Al loro interno, l'abitazione del capo e il recinto del bestiame erano a loro volta protetti da fossati. Le città erano spesso estese più d'un chilometro e racchiudevano una collina centrale, come in un'altra parte del continente le cittadelle Haussa e Yoruba. Come quelle, ripetono le strutture di centri fortificati d'occupazione, costruiti da un popolo invasore.


Secondo i luoghi e i momenti, le invasioni di popoli pastori fondavano o distruggevano città. Sembra infatti che Engaruka sia stata distrutta dall'arrivo di nomadi pastori.


I Jaga (si pronuncia quasi come "Giaga") furono un popolo che tra il sec. XVI e il XVII mise a ferro e fuoco gran parte del continente africano, dalla Sierra Leone allo Zambesi, dall'Etiopia al deserto del Kalahari. Si ritiene che provenissero dal nord dell'attuale Congo-Zaire. Il loro ricordo si tramanda nelle varie regioni ed essi sono considerati come gli antenati dei Ba-Yaka del Congo, dei Jinga d'Angola, degli Azimba dello Zambesi, dei Vazimba del Madagascar, dei Galla-Oromo dell'Etiopia, dei Fundhi del Sennar, dei Timene della Sierra Leone, dei Makalaka dello Zimbabwe, degli Zulu, ecc.


Il professore di storia guineano Ibrahima Baba Kaké li identifica come parenti prossimi degli attuali Masai. Sembra probabile che in origine essi provenissero dalla regione dei grandi laghi e del Kilimanjaro. Le loro invasioni sconvolsero i gruppi etnici esistenti e provocarono la formazione di nuovi stati. Secondo Adolf Bastian, la prima menzione della loro apparizione nel Congo fu nel 1491.

I primi autori riferiscono che essi chiamavano sé stessi Agag o Gaga, nome mutato dagli abitanti del Congo in Giaka (Ba-giaka) e poi in Jagga dai Portoghesi.
Secondo padre Cavazzi, essi portavano già tale nome nelle terre d'origine, dove era pronunciato "Engangiaghi".
I Wachanga (o Chaga, Chagga, Jagga, jaga, Dschagga, Waschagga), presso il Kilimanjaro, sarebbero i loro discendenti rimasti nelle terre d'origine. Durante le loro invasioni furono conosciuti in molti Paesi anche col nome di Zimba o Ma-Zimba, dal nome del loro capo Zimbo.

Nel Congo essi sconfissero tutte le truppe che cercavano di fermarli, e infine lo stesso re Alvaro I (1568-1587), fu costretto ad abbandonare la sua capitale di São Salvador (Mbanza Congo) per rifugiarsi su un'isola in mezzo al fiume Congo, detta "Isola dei Cavalli" per il gran numero d'ippopotami che vi si trovavano. Molti abitanti fuggirono verso le montagne. Mbanza Congo è una città dell'Angola, capoluogo della provincia dello Zaire. Mbanza Congo fu la sede del Manikongo, il sovrano del Regno del Kongo. Dal 1570 al 1975 era conosciuta come São Salvador (in portoghese).per rifugiarsi su un'isola in mezzo al fiume Congo, detta "Isola dei Cavalli" per il gran numero d'ippopotami che vi si trovavano. Molti abitanti fuggirono verso le montagne.
Verso il 1570, i Jaga-Zimba evacuarono il regno del Congo e si divisero in diversi gruppi, alcuni dei quali giunsero sino in Abissinia e nel 1587, provenienti dal nord del fiume Zambesi, sulla costa degli Zanj (o Zengi, vedi La costa Zanguebar), a Kilwa, dove passarono a fil di lancia tremila musulmani (Costa degli Zanj, è un vecchio nome della parte della costa dell'Africa orientale che si distribuisce oggi tra il Mozambico, la Tanzania, il Kenya e la Somalia).
Poi un’orda di 15 mila cannibali Zimba invase Mombasa. Gli antropofagi devastarono l’isola e massacrarono gli abitanti. Decimata la popolazione di Mombasa, attaccarono Malindi, ma il re di quella città si difese e, con l’aiuto della allora numerosa, bellicosa e feroce tribù dei Segeju, riuscì a fare di loro una carneficina.
Gli Zimba sopravvissuti ripartirono verso ovest. Zimbo in persona raggiunse il Capo di Buona Speranza e poi risalì la sponda atlantica, sino al Kunene, dove fondò un nuovo kilombo (accampamento).
Il terribile Zimbo morì mentre preparava una nuova campagna militare, ma forgiò alla spietata crudeltà la figlia Temba N'dumba, tanto che la fama di spietatezza ereditata, dal cannibalismo all'infanticidio, così come nel comportamento disumano in battaglia, fu la base del terrore che le truppe Jagga ispirarono. Anche i loro successori, Kulembe e la moglie Bombaikase-Kizura, lasciarono dietro di loro un alone di ferocia, tanto che padre Giovanni Antonio Cavazzi ne parla come di "mostri assetati di sangue".

La fama di crudeltà ereditata dagli Zimba li fece accreditare di cannibalismo, infanticidio, comportamento disumano in battaglia, e fu in gran parte alla base del terrore che le loro truppe ispiravano. Cavazzi descrive un "orribile unguento", "maji-a-samba", che si confezionava pestando dei neonati vivi in un mortaio. Esso era usato da Temba-Ndumba per rendersi "immortale e invincibile".
A metà del sec. XIX, Bastian sentì riferire che uno stagno presso l'antica capitale del Congo, São Salvador, era stato creato dalle lacrime che l'invasione jaga aveva strappato al dio Unga, mentre il pianto dei Kasuto e Inkisi aveva formato i fiumi che portano ancora i loro nomi.
Gli fu mostrato al mercato il posto in cui i Jaga banchettavano con carne umana.


Come fecero gli Zulu alcuni secoli dopo, i guerrieri Zimba percorsero e razziarono in lungo e in largo la parte centro-meridionale del continente africano. Sottomisero molti popoli, ai quali lasciarono in eredità alcuni prestiti linguistici, simili alle radici dell'odierna lingua dei Masai, ed almeno parzialmente la loro organizzazione militare e la loro forma di Stato.
La religione, col culto dei morti, era molto importante nella società jaga. Il loro prete, nganga-ia-ita, fabbricava cinture di pelle di coccodrillo che dovevano proteggere dai malefici.
In onore ai re ed ai principi, il gran sacerdote (nganga-ia-kimbanda) praticava il sacrificio (kiluvia).

Sul piano militare, la strategia jaga si basava su due punti:
- attacchi a sorpresa, accompagnati da una serie d'astuzie, manovre offensive alternate a ripieghi.
Una stretta disciplina permetteva loro di raggrupparsi o disperdersi rapidamente in manovre ordinate.
-accampamenti fortificati, dai quali provocavano l'avversario, per attaccare la battaglia da posizioni di forza. I Jaga combattevano a piedi, e non avevano cavalli.
Usavano archi e frecce avvelenate.
Facevano pochi prigionieri, ma catturavano tutti quelli che potessero diventare buoni guerrieri o schiavi. Ogni guerriero aveva un proprio segno distintivo: un copricapo piumato, corna, ossi, becchi o zampe d'animali, ornamenti dipinti. Le piume rosse - il cui numero corrispondeva a quello dei nemici uccisi - erano un privilegio esclusivo del re.
Anche le donne jaga andavano al combattimento, insieme agli uomini.

Gli accampamenti (kilombo) sostituivano i villaggi, come sarà poi per i kraal degli Zulu.
Il kilombo tipo, descritto da Cavazzi, comprendeva sette quartieri:
1 - Al centro dell'accampamento si trovavano le dimore del re e dei suoi consiglieri, circondate da palizzate.
2 - Il quartiere dello ngolambole, generale delle guardie, detto anche mutue-a-ubumgo (capitano).
Era il primo ufficiale del re, colui che attaccava per primo e che dirigeva la marcia.
Accompagnato da uno shinghila (indovino), sceglieva il sito ove fondare il kilombo, tracciava le sue vie e definiva tutti i particolari per la costruzione.
3 - Il quartiere del tandala, comandante della retroguardia, venerato come un principe, perché era anche il primo elettore del re e dirigeva il kilombo durante i periodi d'interregno.
4 - Verso est, il mutunda, ove si trovava il ma-niluniu, specialista della costruzione di cinte di fortificazione e di trincee. Era il solo alto personaggio autorizzato ad entrare dal re per parlargli, senza dover attendere.
5 - Dall'altro lato, ad ovest, il quartiere del ministro degli affari segreti, discreto e fedele.
6 - Il quartiere del kicumba o ilunda dipendeva dallo ngolambole. Egli si occupava delle armi, degli schiavi, e doveva essere particolarmente coraggioso e feroce in combattimento.
7 - Il quartiere d'un altro ilunda doveva proteggere la casa del re e le sue ricchezze.
Solo personaggi di fiducia potevano ricoprire tale carica.
I Jaga si stabilirono e continuarono ad esercitare pressioni sui confini orientali del Congo.

Sotto il regno di Alvaro II (1587-1614), essi tentarono una nuova invasione, e il regno del Congo si salvò solo grazie alle fortezze costruite dai Portoghesi.
Verso il 1660, come già detto, i Jaga (Ba-Yaka) furono duramente sconfitti da Nzingha Mbandi Ngola (nota anche come Nzinga, Zingha o N’Zingha, convertita al cristianesimo e battezzata come Ana de Sousa), regina del regno di Ndongo (Angola), che confinava con loro a sud-est.
Con gli Zimba superstiti e asserviti tolse ai portoghesi Matamba, fondando uno stato libero.
Dal principio del sec. XVIII sino alla fine del XIX, essi continuarono ad occupare la riva destra del fiume Kwango (Kuango o Cuango) in Angola e una zona estesa sino al Kwilu-Djuma nella Repubblica Democratica del Congo.

Leggi anche : Cannibalismo in Africa

Regno di Ndongo, 1670.
Regno di Ndongo, 1670.

 

Padre Giovanni Antonio Cavazzi

 

Nacque, il 13 ottobre 1621, da umili origini nel borgo del Castello di Montecuccolo (oggi frazione di Pavullo nel Frignano), figlio di Cesare e Guglielmina, mezzadri del conte Massimiliano Montecuccoli, che gli diedero il nome di Galeotto.


Nel 1640 prese i voti al termine del noviziato svolto presso il convento dei cappuccini di Cesena, con l'intenzione di avviarsi alla vita da missionario. Però, diventato sacerdote, i suoi superiori lo giudicarono di "buona volontà" ma di "pochissima intelligenza", ed i suoi studi non sufficienti alla qualifica di predicatore. Nel 1649 presentò domanda alla congregazione di Propaganda Fide di essere inviato in Congo come missionario, ma ancora una volta tale possibilità gli venne respinta. Tuttavia le missioni cappuccine in Africa richiedevano un numero crescente di religiosi, e finalmente nel 1653 il Padre provinciale di Bologna lo ritenne idoneo.


L'11 novembre 1654 arrivò, a bordo di una nave genovese, a Luanda, capitale amministrativa dell'Angola portoghese, per recarsi poi alla missione cappuccina di Matamba. Nei primi anni viaggiò al seguito dei soldati portoghesi attraverso varie località nord-angolane (Massangano, Cambambe, Maupungu, Ambaca ...). Qui iniziò la sua predicazione tra tribolazioni di ogni genere, dalle febbri malariche al cannibalismo, scrivendo numerosi appunti e cronache di tali esplorazioni.
Ammalato, si imbarcò su una nave diretta in Brasile, dove attese un anno una nave per l'Europa, arrivando infine nel 1668 a Lisbona. Recatosi a Roma, mostrò ai superiori di Propaganda Fide gli scritti che aveva iniziati nel 1655: tali appunti furono giudicati interessanti, e Cavazzi venne invitato a stendere un'opera organica e completa sulla storia della missione cappuccina in quella parte del continente nero, lavoro cui vennero dedicati circa tre anni ed un lungo confronto con la biblioteca e i documenti dei cappuccini.
Pur apprezzandone il lavoro, la Congregazione non ritenne però di assumersi l'onere della stampa, e pertanto Cavazzi venne nominato il 30 maggio 1672 prefetto della missione e nuovamente inviato in Africa. Partì da Lisbona il 16 luglio 1673, ed arrivò a Luanda solo il 10 dicembre seguente: la nave fece infatti naufragio sulle coste di Benguela e Cavazzi fu tra i pochi superstiti.
Già debole di salute, subì un ulteriore decadimento fisico che ne inficiò la capacità di governo della missione, facendolo ritenere da molti inadatto al ruolo di prefetto. Soprattutto la mancanza del titolo di studio di predicatore spinse alcuni missionari - probabilmente desiderosi di essere promossi - a richiedere alla Congregazione di propaganda Fide la sua rimozione, cosa che avvenne infine nel maggio 1676.
Ritornò in Italia nel 1677, dove scrisse un secondo resoconto biografico sui cappuccini morti in Congo. Morì a Genova nel luglio 1678, all'età di 56 anni.


La prima e più importante opera di Cavazzi, Istorica Descrizione de' Tre' Regni Congo, Matamba ed Angola venne pubblicata solamente otto anni dopo la sua morte. Si tratta di una storia descrittiva di considerevole rilevanza all'epoca, tanto che già nel 1694 venne pubblicata l'edizione tedesca e nel 1732 quella in francese. Bisognò attendere il XX secolo per vedere un'edizione in portoghese.
Nel 1969 un sacerdote modenese, Giuseppe Pistoni, scoprì fra le carte Araldi, una famiglia cittadina, i tre poderosi manoscritti originali di Cavazzi, quindi il testo non rivisto stilisticamente da Alamandini. Tale rimaneggiamento fu voluto da Propaganda Fide per depurare il testo da alcuni accenni miracolistici o ritenuti fantasiosi, un lavoro lungo e certosino che probabilmente determinò la pubblicazione postuma. Ad oggi resta una delle documentazioni storiche più interessanti non solo sulla presenza cappuccina nell'Africa centro-occidentale, ma anche un'importante testimonianza circa le tradizioni orali e gli usi delle popolazioni congolesi ed angolane.


Tali manoscritti erano inoltre illustrati con vivide rappresentazioni ad acquarello della vita in Africa centrale, e soprattutto della corte della regina N'Zingha, che governava l’indomita o, se si vuole, sanguinaria tribù dei Matamba, allora dominante in Angola. “Mai satolla di suggere il sangue facendo strozzare pargoletti e uomini per empirne i nappi, il gozzo e le viscere”, scrive padre Cavazzi, la feroce regina dei cannibali possedeva un harem maschile in cui gli uomini, a volte, potevano finire mangiati. Organizzava festini in cui agli amanti in abiti femminili venivano serviti “topi arrostiti con tutto il pelo”, come nota schifato il frate cappuccino. Tuttavia, Cavazzi, mandato dai superiori bolognesi a evangelizzare il Matamba, non si sottrae al compito più difficile, che è quello di convertire l’esuberante regina. N'Zingha, nel merito, appare confusa, o ama confondere. Quando sembra aver abbracciato la fede cristiana, ecco che ricade nell'animismo e nel tribalismo. Poi torna a convertirsi, quindi sfugge di nuovo. Alla fine capitola e muore cristiana, a 81 anni, assistita dallo stesso Cavazzi che da lei era stato chiamato a sostituire Padre Antonio da Gaeta rimasto a reggere la prefettura di Angola.


Oltre a tale storia, Cavazzi riscrisse anche le biografie di alcuni dei suoi missionari "Vite dei Frati Minori Cappuccini del Ordine del Serafico Padre San Francesco, morti nelle Missioni d'Etiopia dall'anno 1645 sino all'anno 1677" (manoscritto conservato oggi presso la biblioteca di Évora), lavoro che però non venne pubblicato prima del XX secolo. Esse non hanno l'accuratezza della prima opera, poiché Cavazzi non ebbe il tempo di integrarle con la ricerca d'archivio, ma contengono notizie preziose sulla presenza cappuccina in Congo nel '600.

Incontro della regina Nzinga con i portoghesi. Regno di Ndongo, 1670.
Incontro della regina Nzinga con i portoghesi. Regno di Ndongo, 1670.

 

 

Giovanni Antonio Cavazzi,

Istorica Descrizione de' Tre Regni Congo, Matamba, et Angola.

 

Quando la regina N'Zingha entrò in una stanza per incontrarsi con i portoghesi ed osservò che il governatore portoghese di Luanda era seduto sull'unica sedia, convocò subito uno dei suoi servitori di sesso femminile che si piegò sulle mani e ginocchia diventando il suo "sedile". Cavazzi (che scrive il nome della regina come Zingha) testimonia questa scena, apparentemente con stupore.

Fasi della lavorazione dei metalli. Regno di Ndongo, 1670.
Fasi della lavorazione dei metalli. Regno di Ndongo, 1670.

 

Giovanni Antonio Cavazzi,

Istorica Descrizione de' Tre Regni Congo, Matamba, et Angola.

Rappresentazione di varie fasi della lavorazione dei metalli, compreso l'uso di soffietti. 

La Regina Nzinga ed un batterista. Regno di Ndongo, 1670.
La Regina Nzinga ed un batterista. Regno di Ndongo, 1670.

 

 

 

 

Giovanni Antonio Cavazzi,

Istorica Descrizione de' Tre Regni Congo, Matamba, et Angola.

 

La Regina N'Zingha ed un batterista. Regno del Congo, 1670.

La Regina N'Zinga ed il suo seguito. Regno di Ndongo, 1670.
La Regina N'Zinga ed il suo seguito. Regno di Ndongo, 1670.

 

 

 

Giovanni Antonio Cavazzi,

Istorica Descrizione de' Tre Regni Congo, Matamba, et Angola.

 

La Regina N'Zinga ed il suo seguito.

Disegni di Padre Giovanni Antonio Cavazzi. Regno di Ndongo, 1670.
Disegni di Padre Giovanni Antonio Cavazzi. Regno di Ndongo, 1670.

 

 

 

Un Cappuccino nell'Africa nera del seicento:

 

I disegni dei Manoscritti Araldi di Padre Giovanni Antonio Cavazzi da Montecuccolo.

 

In primo piano il "primo re di Ndongo" forgiare armi e utensili, in fondo (a sinistra) l'uso di soffietti e (a destra) spettatori reali. 

Indiae Orientalis
Indiae Orientalis

 

Johannes Israel and Johann Theodor de Bry. Indiae Orientalis pars VI.

 

Una rappresentazione della corte e di amministrazione della giustizia. Sette caratteristiche sono contraddistinte ed etichettate da A a G; per esempio, (A) re o capo ascolta un caso presentato a lui, (B) la decapitazione di un uomo che ha ucciso un olandese, (D) una donna che beve da una brocca e giura a suo marito che non aveva nulla a che fare con altri uomini, (F) persone insoddisfatte del verdetto del capo si danno battaglia tra loro, (G) donne in lutto per coloro che sono condannati. Johann Theodor de Bry non aveva mai visitato l'Africa e ha costruito le illustrazioni di africani dal tardo 16° secolo contando su testimonianze oculari dell'olandese Pieter de Marees della Gold Coast, e del portoghese Duarte Lopez del Regno del Kongo.

Indiae Orientalis
Indiae Orientalis

 

Johannes Israel and Johann Theodor de Bry. Indiae Orientalis pars VI. 

 

Diciotto caratteristiche, etichettate da A a S, sono identificate in questa illustrazione, che includono (A), la casa del capo, (D) gli agricoltori che vendono vino di palma, (E) il mercato del pollo, (K) canna da zucchero venduto, (O) Olandese visita al mercato, (R), la strada per Mina (Elmina).

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